Abituati a ragionare sul presente con lo sguardo rivolto alle nostre spalle, per capire di più e per comprendere dove stiamo andando dovremmo forse cambiare paradigma e rovesciare il pensiero, cercando di osservare il nostro tempo attraverso le lenti del futuro: «non siamo qui perché le cose sono “state”, semmai perché le cose devono ancora accadere».

Perché il tempo che stiamo vivendo ci mette di fronte a trasformazioni non meno imponenti di quelle prodotte, più di due secoli fa, dal decollo industriale e dalle rivoluzioni politiche ai due lati dell’Atlantico. Anzi, la rapidità e la molteplicità dei cambiamenti, almeno dagli ultimi decenni del Novecento, sono state di tale intensità da risultare incomparabili rispetto a qualunque precedente.

La rivoluzione tecnologica che stiamo sperimentando, pur appena agli inizi, sta polverizzando consuetudini millenarie; ridisegna dalle fondamenta gli equilibri tra naturale e artificiale, tra il corpo fisico e quello politico, fra l’ambiente e la sua manipolazione, modificando in profondità le forme del rapporto tra l’umano e la vita.

Mentre, su scala globale, l’intreccio fra innovazioni tecniche e crescita economica, fra scienza e capitale, ha portato alla nascita di assetti di potere inediti ma talmente potenti da toccare le forme e i limiti delle sovranità degli Stati, fino a minare la certezza nelle Democrazie, e forse anche la stessa sopravvivenza del genere umano, aprendo la strada a soluzioni prima inconcepibili.

Il futuro è alle porte. Ma alla forza delle novità non ha corrisposto, almeno finora, una valutazione adeguata – filosofica, storica, politica – con una capacità critica all’altezza degli avvenimenti che si stanno sviluppando innanzi a noi, in grado di prepararci davvero al futuro che comincia a profilarsi. Quasi che per misteriose ragioni non fossimo ancora pienamente consapevoli della portata di quanto sta accadendo, e non fossimo in grado di trarne le necessarie conseguenze.